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MISERIA NOBILTÀ

 

(di Eduardo Scarpetta)

 

Adattamento e Regia di Fulvio Romeo

Stagione Teatrale: 2003/2004
Data Debutto: 21 maggio 2004

PERSONAGGI e INTERPRETI

(in ordine alfabetico)

Bettina Ciriello
Anna Laura Chierichetti
Teresa Santacroce
Rita Cotugno
Concetta Smedile
Donatella Fabiani 
Antonietta Semmolone
Fiorella Facchini
Gemma Semmolone
Ilaria Lettieri
Luisella Sciasciamocca
Chiara Lippolis
Eugenio Favetti
Giorgio Pagliaroli 
Filomena Castiello
Sara Pascolini
Pasquale Smedile
Massimo Perrotta
Pupella Smedile
Moana Persiani
Il Signor Bebè
Davide Razzauti
Luigino Semmolone
Francesco Ripandelli
Vincenzo La Vecchia
Roberto Ripandelli
Felice Sciasciamocca
Fulvio Romeo
Rosina Sciasciamocca
Maria Sofia Romeo
 
SCENE

Davide Razzauti

COSTUMI
Anna Dei
LUCI

Riccardo Vigi

DIRETTORE DI SCENA
Maresa Santesarti
LOCANDINA
Carlo Mercuri

NOTE DI REGIA

Chissà perché di Miseria e Nobiltà , tutti ricordano (con la mente al celebre film con Totò) due battute (“Vincenzo m’è padre a me” e “Bellezza Mia”) e una scena, quella degli spaghetti?
Forse perché quelle due sono le battute più reiterate della commedia e traggono proprio da questo la propria vis e forse perché quella scena è una delle più esilaranti di tutta la filmografia italiana, capace di rendere comica ciò che è una tragedia, la fame.
Già, la Fame? E’ questa l’autentica protagonista di Miseria e Nobilità? Sì, visto che il prezzo, almeno quello iniziale, della finzione, non è altro che un pranzo, sia pure luculliano. Ma, a ben guardare, a leggere tra le righe della farsa, c’è di più.
L’edonismo, ad esempio, sia quello di Antonietta che, superata la sua condizione di “misera” in virtù di un’eredità, vuole apparire, esistere di luce riflessa, imparentandosi con i “nobiloni”, sia quello di suo figlio Luigino, per cui il denaro ha così poco valore (atteso che non se lo guadagna) da rubarlo a sua madre.
Ed ancora l’egosimo, non a caso proprio dei nobili, come Teresa, pronta a comprare i miseri per poi abbandonarli solo per soddisfare i desideri del nipote Eugenio, a sua volta impegnato a studiare, quasi indifferente all’amore della fidanzata Gemma che Bebè vorrebbe solo per un’avventura, mai per un matrimonio e non per la differenza di età, ma per quella di status.
E che dire del rancore, della gelosia, prodotti quasi necessari dell’indigenza che contrappongono Luisella, “seconda moglie, dunque fidanzata”, dunque destinata ad essere cattiva così come a Concetta, preda di un falso puritanesimo e a Pupella, per cui l’amore è la sola via d’uscita dalla povertà,  come a Rosina, la più giovane e (proprio per questo?) l’unica tra i miseri capace di trovarsi un lavoro “che le dà da magiare”.
C’è posto anche per la perfidia, per quella di Gemma, capace di umiliare quel Signor Bebè che pure, se lui volesse, avrebbe sposato e per quella di Filomena, interessata solo al pagamento della pigione, forte del suo ruolo di “prima donna della facoltà di legge”.
Non manca l’ignavia, quella di Pasquale, vittima ormai inerme del progresso della vita (“Ormai i turisti le macchine fotografiche se le portano da casa”) e della moglie che lo insulta.
Solo sentimenti negativi? No, esiste anche la bontà, inevitabilmente insita nei lavoratori, come in Vincenzo, capace di far passare Rosina per sua figlia pur di aiutarla, così in Bettina, pronta al perdono, nonostante il tradimento patito.
E Felice? E’ l’uomo, con (tanti) difetti, iracondo e pavido, traditore e (pochi) pregi, amorevole, tenero, sintesi di una, volutamente troppo facile, morale imperniata sul riscatto dalle avversità della vita in virtù della presa di coscienza che la vera ricchezza è quella dell’armonia dei sentimenti, dell’unità.
Ma tutto ciò emerge solo in maniera assai soffusa (diranno, molti, per fortuna), scorrendo la commedia nel pieno ed assoluto divertimento, nella risata salutare, rinfrancante, di cui abbiamo sempre bisogno e che, come sempre, cerchiamo di assicurare.

FULVIO ROMEO

 

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